ogni Stato membro dell’Unione europea cerchi autonomamente una propria strada. In Francia, per esempio, la recente partnership tra Thales e Google nell’ambito cruciale del Cloud Computing potrebbe essere promettente. È un caso di partnership tecnologica tra aziende strategiche europee e Big Tech americane, ma (come altri progetti in cantiere di altre aziende) dovrebbe trasformarsi in una preziosa occasione di sperimentazione non per un solo paese, ma per l’intera Unione europea.
Dopo l’intenso lavoro congiunto tra Commissione europea e amministrazione statunitense, la Casa Bianca ha, inoltre, deliberato l’8 ottobre scorso un executive order in materia di dati che ha lo scopo di superare le critiche della Corte di giustizia europea relative all’accordo cosiddetto Private Shield.
Occorre proseguire questo tipo di collaborazione proficua tra le due sponde dell’Atlantico per creare una nuova sintesi tra le più avanzate normative europee e le indubbie capacità tecnologiche (pubbliche e private) presenti negli Stati Uniti. Ciò non deve valere solo per le tecnologie digitali, ma per l’intero settore della ricerca e sviluppo.
Senza questo sforzo congiunto ha poco senso parlare di difesa europea. Solo identificando concrete aree di collaborazione tecnologica scientifica e industriale tra la Nato e l’Unione europea, pur nella diversità dei rispettivi compiti si possono raggiungere risultati concreti. L’Europa e gli Stati Uniti (ma il discorso vale per tutte le democrazie del mondo) saranno in grado di vincere le sfide tecniche e politiche indotte dalla rivoluzione digitale solo se se saranno in grado di cooperare.
Come è noto, tecnologia non fa rima con democrazia e il richiamo politico a un sovranismo impotente ottiene il risultato contrario. Non è un caso che chi se n’è sinora avvantaggiato in Europa sono le autocrazie, Russia e Cina in primis. Per questo la conferenza Nato che si inaugura oggi alla Farnesina potrebbe davvero fare la differenza. Se non ora quando?