Set 02, 2022 NOTIZIE
Era un caldo venerdì, quel maledetto 3 settembre 1982. Il fine settimana era alle porte.
Il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro si stavano dirigendo per cenare nel quartiere costiero di Mondello, quando, alle 21.15, l’A112 beige guidata dalla moglie e l’alfetta di scorta condotta da Domenico Russo, in via Isidoro Carini, vennero affiancate da una motocicletta Honda e da un BMW518. Il gruppo di fuoco era formato da Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”, Giuseppe Lucchese, Calogero Ganci e Antonino Madonia. Il Generale Dalla Chiesa, la moglie e l’agente di scorta, vennero crivellati a colpi di AK47. Dopo solo 100 giorni dal suo insediamento cadde sotto i colpi di Cosa Nostra anche il Prefetto Dalla Chiesa, colui il quale, con un nuovo metodo investigativo aveva sbaragliato le Brigate Rosse.
La grandezza e l’innovazione apportata da Dalla Chiesa è nota a tutti. Questa mia riflessione però non vuole diventare un epitaffio. Vorrei solo far capire ai più giovani a cosa è servito il sacrificio di questi Uomini. Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”.
Questi uomini, questi eroi insieme a tanti altri morti o sopravvissuti, hanno dato la loro vita per cambiare le sorti di questa povera martoriata Italia.
La lotta alla criminalità organizzata di quegli anni può essere definita come un vera e propria guerra tra poteri che condividevano lo stesso territorio.
Dalla Chiesa era tornato a Palermo perché il governo Spadolini I voleva ottenere gli stessi risultati avuti contro le Brigate Rosse.
Nominato il 6 aprile 1982, s’insediò in città, il giorno dell’omicidio di Pio La Torre (30 aprile 1982).
Lo stesso lamentò più volte il mancato rispetto degli impegni assunti dal governo e la carenza di sostegno da parte dello Stato.
Deluso dalla mancanza di “poteri speciali” disse:
“Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti”.
I poteri arrivarono… esattamente 103 giorni dopo l’insediamento di Dalla Chiesa, quando venne istituito con il decreto legge del 6 settembre 1982 n. 629 – convertito nella legge 726 del 12 ottobre 1982 – l’Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa.
I poteri speciali arrivarono… troppo tardi.
Pensate… il 13 settembre dello stesso anno venne approvata la legge n. 646, nota come legge “Rognoni-La Torre”, che introdusse per la prima volta nel codice penale il reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.
Quella legge che serviva per definire la mafia come reato.
Il 22 Dicembre 1968 a Catanzaro e Il 10 Giugno 1969 a Bari vennero assolti quasi tutti i mafiosi in quanto la mafia non veniva considerata un’associazione organica ma individui indipendenti.
La morte del Generale Dalla Chiesa segnò un nuovo cambiamento, un cambiamento radicale nelle coscienze. Sul luogo della strage all’indomani dell’omicidio comparve un telo bianco con la seguente scritta: “qui è morta la speranza dei palermitani onesti”.
Il 4 settembre 1982, nell’omelia della celebrazione funebre del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’Arcivescovo di Palermo, Salvatore Pappalardo disse: “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”, citando una frase famosa di Tito Livio e guardando in faccia gli uomini dello Stato seduti sui banchi delle prime file. E poi, in italiano per non lasciare equivoci, a voce sempre più alta: “Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici! E questa volta non è Sagunto ma Palermo. Povera Palermo!”
Dunque lasciamo che la politica continui a fare quello che ha fatto per anni… rincorre…